Greenwashing, la “soluzione” della Cop26

Quante volte ci capita di ascoltare pubblicità mirate a riscattare l’immagine di un’azienda sotto il profilo dell’impatto ambientale? Con questa strategia, le imprese ci forniscono un’immagine inverosimile del loro operato sulla questione ambientale, distogliendo la nostra attenzione dagli effetti negativi delle loro produzioni.

Per porre fine in maniera parziale alla problematica dell’inquinamento, le aziende hanno trovato una “soluzione”, quella di piantare alberi, finanziare impianti ad energia rinnovabile o acquistare sul mercato certificati di crediti di carbonio. Bisogna specificare che questi limiti sono imposti solo in alcuni paesi, fra cui l’UE, che richiede 60€ per ogni tonnellata di CO2.

Scontato dire quanto sia inefficace questo metodo, infatti queste restrizioni non stanno scoraggiando le multinazionali ad inquinare di meno, ma bensì stanno portando, nei migliori dei casi, a compensare i danni irreversibili da loro creati, piantando un insignificante quantitativo di alberi.

Per rendere realmente utili queste campagne bisognerebbe ricoprire interamente di alberi oltre 1,6 miliardi di ettari, oppure bloccare subito la deforestazione, senza entrare in questo circolo vizioso di pulizia del nostro stesso inquinamento. Basterebbe riflettere per capire che questa continua ricerca di un equilibrio non può funzionare, in quanto i terreni riforestati hanno bisogno di 30 anni per essere completamente efficienti, anche se non potranno mai prendere il posto degli alberi secolari presenti nelle nostre foreste pluviali.

È stato stabilito col termine della Cop26 lo stop alla deforestazione entro il 2030, un periodo talmente ampio da poter consentire al presidente brasiliano Jair Bolsonaro di abbattere oltre 8,4 miliardi di alberi, una perdita che segnerebbe in maniera indelebile la foresta più grande al mondo.

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